25 Ago 25/8 L’Amazzonia che brucia chiede una corretta informazione
L’Amazzonia brucia. Lo fa fin dagli anni ’70, fin da quando i latifondisti brasiliani hanno ricavato immensi territori per le loro colture intensive, per il legno, i minerali, i pascoli per produrre tanta carne. La recrudescenza di questi giorni deriva dal pagamento delle promesse elettorali di Bolsonaro, che ha lasciato alimentare gli incendi senza controllo e solo dopo un mese di pressioni internazionali ha finto di abbassare la testa ma ha inviato l’esercito a rimettere almeno un pò d’ordine (con la stalla vuota). Il numero degli incendi è aumentato del 145%, secondo una stima di Greenpeace che raccoglie un dato fornito dall’ Istituto nazionale di ricerche spaziali brasiliano Inpe.
In tutto questo l’emergenza Amazzonia, il polmone della Terra, il disastro che accelera i cambiamenti climatici sono tutte cose vere. Ben diverso da quel volontarismo frettoloso che provoca campagne di like sui social media postando foto che non la rappresentano oggi.
“La foto scattata dall’alto e postata da Madonna è del 1989” scrive il Corriere della Sera. Che prosegue: “L’orizzonte in fiamme instagrammato da Cristiano Ronaldo (8,6 milioni di «mi piace») è quello di Rio Grande do Sul, nel 2013. La scimmietta straziata dalle ustioni: India, 2016. Il coniglietto carbonizzato: Malibu, 2018. Due (improbabili) alci in fuga da una pineta in fiamme: non pare un habitat amazzonico, e infatti è un incendio in Montana, ma è tra le più condivise.”
Questo dà la stura ai prezzolati negazionisti e ai vari Bolsonaro e Trump (che sullo shale oil ha costruito le fortune della sua Amministrazione) di turno di gridare giustamente alla bufala. Alla verità e all’Amazzonia così si fa un grave danno, quelle persone sfruttano l’incertezza della bulimia informativa, sono le fake news che si autoalimentano e nessuno riesce a capire cosa sta succedendo veramente.