
14 Apr Associazioni sportive dilettantistiche: senza partecipazione niente sconti
Per usufruire dei benefici fiscali a favore delle organizzazioni no profit occorre dimostrare, tra l’altro, che la gestione dell’ente dia effettivamente voce ai soci.
Le agevolazioni fiscali a favore delle associazioni sportive dilettantistiche si applicano a condizione che, nello svolgimento della vita associativa, l’ente rispetti i principi di democraticità e svolga attività senza fine di lucro. Questo principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 5883 del 5 marzo 2025.
La vicenda giudiziaria deriva da una verifica fiscale effettuata ai fini Ires, Iva e Irap, nei confronti di un’associazione sportiva dilettantistica, iscritta nel registro del Coni. A fine verifica è stato emesso un atto di accertamento nei confronti dell’Asd e recuperato a tassazione un maggiore reddito, con conseguente applicazione di sanzioni ed interessi.
L’ufficio aveva ritenuto inapplicabile da parte dell’associazione il regime agevolativo disciplinato dalla legge n. 398/1991, che prevede a favore delle associazioni sportive dilettantistiche numerose semplificazioni fiscali, quali, ad esempio, una determinazione forfettaria del reddito imponibile e dell’Iva da versare e l’esonero da numerosi adempimenti contabili.
A seguito dell’impugnazione da parte dell’ente, la Commissione tributaria provinciale di Novara e la Ctr del Piemonte (decisione n. 600/2017) hanno ritenuto priva di fondamento la revoca del citato beneficio fiscale disposta dall’Agenzia delle entrate.
L’ufficio ha proseguito la propria pretesa in giudizio, evidenziando numerose circostanze che attestavano l’assenza di democraticità e di effettiva partecipazione degli associati alla vita associativa. In particolare:
- il diritto di voto era garantito per statuto solo ai soci in regola con il versamento della quota associativa, e che facevano parte dell’ente da almeno tre mesi
- l’esiguo numero di soci, di solito tra 4 e 15, partecipanti all’assemblea, nonostante gli iscritti fossero oltre 600
- alle assemblee partecipavano quasi esclusivamente i componenti dell’organo direttivo dell’associazione
- le nomine del consiglio direttivo venivano ratificate dall’assemblea a distanza di due anni
- veniva data comunicazione della convocazione dell’assemblea mediante semplice affissione presso la sede sociale nonostante, da diversi anni, fosse emersa la criticità di questa modalità di convocazione
- numerose irregolarità nella tenuta del libro soci che impedivano all’ufficio di conoscere con esattezza il numero dei soci
- la definizione come “clienti” anziché “soci” dei partecipanti alla attività dell’ente, secondo quanto riportato nel documento che conteneva le condizioni di abbonamento ai corsi offerti dall’ente stesso
- la presenza di ingenti corrispettivi (oltre 122mila euro) privi di fondata giustificazione
- numerose irregolarità nella conservazione e contabilizzazione delle ricevute e dei corrispettivi.
Preso atto dei numerosi rilievi formulati dall’ufficio i giudici della Corte di cassazione hanno richiamato il proprio consolidato orientamento in base al quale “….in tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione d’imposta prevista dal d.P.R. n. 917 del 1986, art. 148 in favore delle associazioni non lucrative, dipende non dall’elemento formale della veste giuridica assunta (nella specie, associazione sportiva dilettantistica), ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estraneo e neutrale, dell’affiliazione al CONI”.
Secondo la Corte di cassazione, in pratica, i vantaggi fiscali previsti per le associazioni sportive dilettantistiche non possono dipendere dalla semplice osservanza di parametri formali quali, ad esempio, l’iscrizione al Coni. È, invece, necessario, valutare nel concreto l’attività effettivamente svolta dall’ente.
Al riguardo, in motivazione, è stata richiamata la pronuncia della stessa Corte n. 32119/2018, mediante la quale si era già affermato che i benefici fiscali in esame presuppongono che le clausole dello statuto dell’ente siano conformi ai principi che devono ispirare la vita associativa di questa tipologia di enti, con particolare riferimento ai principi di partecipazione alla vita associativa e democraticità.
La Cassazione ha, altresì, richiamato un altro proprio precedente (Cassazione, n. 25708/2020) con il quale si era ravvisata la mancanza di democraticità a causa della scarsa partecipazione dei soci alla vita associativa e della concentrazione della capacità decisionale nella sola figura del Presidente dell’ente.
Tenuto conto anche dei numerosi rilievi evidenziati dall’ufficio, e che avevano determinato la revoca dei benefici fiscali richiesti, i giudici hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
fonte:fiscooggi.it