17 Set Green pass: la svolta dell’obbligo per andare a lavorare
Alla fine il governo Draghi ha fatto una scelta sofferta ma praticamente obbligata: dal 15 ottobre per andare a lavorare – sia nel pubblico sia nel privato – servirà il Green pass.
Dissipate tutte le contestazioni politiche e di dissenso interne alla maggioranza, il decreto è stato votato all’unanimità.
La certificazione verde diventa obbligatoria per 23 milioni di persone, tra cui lavoratori della Pubblica amministrazione, delle aziende private grandi e piccole, autonomi come i tassisti, baby sitter, colf, badanti.
Anche i professionisti, dal 15 ottobre, dovranno avere il passaporto vaccinale. Senza trascurare l’obbligo per «tutti i soggetti che svolgono a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato presso le amministrazioni», anche sulla base di contratti esterni.
Le sanzioni previste per chiunque, a vario titolo ed evitabili solo in presenza di adeguato certificato medico, sono dure al punto di arrivare anche a subire la sospensione dal lavoro e dallo stipendio. Ci sono ancora alcuni punti da chiarire nei prossimi giorni, ma lo spirito della legge non lascia spazio ad eccezioni.
Ottenere il green pass: cosa fare?
Il green pass si ottiene quando sono passati 14 giorni dopo la prima dose di vaccino.
In alternativa, sottoponendosi a un tampone molecolare o antigenico. Il primo ha una validità di certificazione di 72 ore; il secondo di 48 e poi devono essere ripetuti per una nuova validità. Il costo è di 8 euro per i minori e 15 euro per gli adulti. Saranno invece gratuiti per le persone «fragili».
Il nuovo decreto chiarisce all’articolo 5 la durata della certificazione verde in caso di contagio.
- Se il lavoratore contrae il Sars-CoV-2 dopo la seconda dose di vaccino, l’aver contratto il virus vale come terza dose: in questo caso il green pass è valido dodici mesi.
- Se ci si ammala di Covid «oltre il quattordicesimo giorno dalla somministrazione della prima dose di vaccino» è rilasciato il green pass e «ha validità di dodici mesi a decorrere dall’avvenuta guarigione». Ma questa fattispecie non vale se, tra la prima dose e la malattia, non sono passate due settimane.