Chilometro zero ? OK, ma facciamo attenzione…

Chilometro zero ? OK, ma facciamo attenzione…

(di Eduardo Lubrano). Una delle colonne portanti della sostenibilità è senza dubbio quella degli acquisti – in campo alimentare – a chilometro zero. Cioè in un luogo il più possibile vicino a quello di produzione del cibo ed a casa nostra. Un’economia locale da preferire a quella globalizzata per esser più certi di cosa si compra, per contribuire alla riduzione del trasporto merci e quindi all’inquinamento dell’aria che anche da questo deriva, per ripensare al nostro modo di produrre e consumare.

Sul chilometro zero alimentare l’Unione Europea ha così tanto creduto – o almeno così sembrava – da creare addirittura una strategia chiamata “Farm to fork” cioè dalla Fattoria alla forchetta, di cui su Impakter Italia abbiamo dato conto più volte. Una strategia inserita nella politica del New Green Deal dell’Unione, cioè nella nuova idea di conversione del processo industriale, economico, sociale ed ambientale dell’Europa.

Cibo ed ambiente

Chilometro zero sì ma con attenzione… -CC0, public domain, royalty free

Le nuove riflessioni sul cibo a chilometro zero

La distanza non è il fattore determinante della sostenibilità” dice Rupert Schlegelmilch, direttore presso la Direzione Generale per il Commercio dell’esecutivo comunitario per Americhe, agricoltura e sicurezza alimentare, il quale sostiene chenon c’è dubbio che la riduzione delle filiere agricole è un obiettivo chiave della politica alimentare dell’Ue. Ma anche che per l’UE non bisogna cancellare con un colpo di spugna il commercio internazionale di beni agroalimentari. Quantomeno non azzerarlo:  “Normalmente, la possibilità di avere il clima giusto, il terreno giusto o l’acqua giusta supera molto spesso i costi del trasporto, che è la prima cosa a cui pensi quando pensi alla sostenibilità”. E qui Schlegelmilch ha fatto l’esempio delle banane prodotte in Islanda.

Che vengono coltivate in impianti alimentati con energie rinnovabili, ma per le quali bisogna considerare ciò che serve a produrre un frutto tropicale in un paese del nord: dal fertilizzante al consumo energetico. Di contro ci sono i costi di importazione delle banane dalle zone di origine di questo frutto che però possono essere coltivate e commerciate secondo le regole del commercio sostenibile.

Su questo interviene Flavio Coturni, un capo unità della stessa Direzione  Generale :“Un prodotto agricolo è diverso da un altro in termini di impronta di carbonio, ma anche per il modo in cui viene coltivato. E i metodi di produzione possono essere sostenibili o non sostenibili, a seconda di una varietà di elementi e non necessariamente a seconda di quanto è lunga o corta la catena di approvvigionamento“.

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L’importanza del chilometro zero

La filiera corta, non ha solo la sostenibilità tra i suoi obiettivi. Dice Léa Auffret, funzionario senior della politica commerciale presso l’Organizzazione europea dei consumatori, BEUC:”Quando diciamo che i consumatori vogliono avvicinare l’azienda agricola alla tavola, non è solo per ridurre l’impatto del trasporto. È anche perché vogliono sostenere i produttori locali, perché vogliono sapere da dove proviene il prodotto, avere un’idea di quale tipo di ambiente o standard nei diritti del lavoro sono in vigore lì, in modo di fare una scelta ponderata“.

Fonte: Eduardo Lubrano – impkter.it