28 Set Debito pubblico: difficile ridurlo pur in congiuntura favorevole
Il governo ha presentato il quadro macroeconomico della Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Nadef) che costituisce la base per la manovra di bilancio per il 2024. Il testo non è ancora disponibile, ma i numeri presentati sollecitano già alcune riflessioni.
Per prima cosa, il governo prevede di peggiorare il disavanzo sia per l’anno in corso (dal 4,5 per cento del Pil previsto nel Def al 5,3 per cento) che ulteriormente per l’anno successivo (dal 3,7 per cento al 4,3 per cento del Pil). L’incremento del deficit non ha giustificazioni sul piano economico. L’economia italiana è in rallentamento, ma non in recessione, con una crescita prevista allo 0,8 per cento per 2023 e all’1,2 per cento nel 2024, tassi di crescita del tutto in linea con quelli registrati dall’Italia nel periodo precedente alla pandemia.
Se la manovra è “prudente”, come sostiene il governo, lo è rispetto alle richieste, davvero inverosimili, avanzate dalle forze politiche che sostengono la maggioranza, non in termini oggettivi. Piuttosto, la manovra sconta alcuni errori commessi in passato. Nella legge finanziaria dell’anno scorso, il governo aveva previsto di mantenere inalterata per il triennio successivo la spesa nominale per il personale e per l’acquisto di beni e servizi, una previsione insostenibile data la ripresa dell’inflazione, ed è ora costretto a correre ai ripari. Inoltre, l’esecutivo ha deciso di investire pesantemente nel 2023 sulla riduzione del cuneo fiscale sui redditi da lavoro fino a 35 mila euro, con un ulteriore incremento a partire da giugno. Al di là delle perplessità sull’uso dello strumento (la fiscalizzazione degli oneri contributivi), l’intervento si rivela ora troppo oneroso per le finanze pubbliche. Il governo, tuttavia, è costretto a mantenerlo per evitare le ripercussioni politiche di una sua improvvisa abolizione.
L’effetto “palla di neve”
Ma il problema vero della manovra non riguarda tanto il deficit, i cui valori sono comunque pesantemente falsati dalle decisioni di Eurostat sulla contabilizzazione dei crediti edilizi, quanto il debito. I numeri presentati nella Nadef prevedono una riduzione minuscola del rapporto debito su Pil nel prossimo anno (dal 140,2 per cento nel 2023 al 140,1 per cento nel 2024) e una riduzione altrettanto ridotta negli anni successivi (raggiungeremo il 139,6 per cento nel 2026), oltretutto da ottenersi anche grazie a non meglio specificati proventi da privatizzazioni.
Il quadro è particolarmente preoccupante, perché l’Italia gode ancora del vantaggio di un “effetto palla di neve” positivo, dato dalla differenza tra il costo medio del debito e la crescita nominale del Pil, che comporta un’automatica riduzione del rapporto debito su Pil. L’effetto si esaurirà nel giro di due-tre anni, via via che il debito viene rinnovato a tassi di interessi più elevati e l’inflazione si riduce. Ipotizzare di interrompere il percorso di riduzione del rapporto debito su Pil, pur in condizioni che restano ancora favorevoli, rappresenta un segnale fortemente negativo per i mercati finanziari, come testimonia anche il rapido ampliamento dello spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi.
In poche parole, se l’Italia non riesce a ridurre il proprio debito in condizioni favorevoli, sembra difficile che possa farlo in futuro, quando l’effetto palla di neve si sarà esaurito o cambierà di segno e il Paese potrà affidarsi solo ad ampi e crescenti avanzi primari per controllarne la dinamica.
Sfortunatamente, il segnale viene dato anche nel momento in cui è in corso una delicata trattativa in Europa sulla riforma delle regole fiscali, che rientreranno in vigore a partire dal prossimo anno. Il ministro Giorgetti conta sulla comprensione dei propri pari nell’Ecofin, che si confrontano con gli stessi problemi di rallentamento congiunturale, ma con una situazione finanziaria molto migliore. È probabile invece che la manovra per il 2024 confermerà l’impressione che l’Italia non sia in grado da sola di controllare i propri conti, spingendo i Paesi più conservatori a chiedere l’imposizione di ulteriori vincoli quantitativi prima di approvare la riforma.
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Fonte: osservatoriocpi.unicatt.it