25 Mag Emergenza nucleare in Italia: la condanna della Commissione europea
Il referendum dell’8-9 novembre 1987 buttò nel cesso il programma nucleare di una Italia profondamente impressionata dal disastro di Chernobyl del 26 aprile 1986 e dalla sue conseguenze (ancora oggi le truppe militari russe che hanno occupato la centrale nucleare in questa guerra Russia-Ucraina sono state esposte in maniera irreparabile a radiazione).
Le pulsioni nucleari degli affaristi nazionali dell’energia – mai veramente sopite – furono fermate da un secondo referendum svoltosi il 12 e 13 giugno 2011. Un governo Berlusconi, con la legge 25 giugno 2008, n. 112, aveva reintrodotto la possibilità di costruire in Italia centrali nucleari.
Il danno comunque era fatto, quattro centrali erano state messe in costruzione, e abbiamo ricevuto in eredità la dismissione di quanto realizzato e un programma di raccolta e stoccaggio del materiale radioattivo che è ben lungi da essere stato realizzato. Anzi è probabile che intere generazioni di dipendenti della Sogin – l’ente a cui fu affidata la denuclearizzazione – abbiamo completato il loro ciclo lavorativo e siano andati in pensione senza che sia stato ottenuto un risultato.
La Commissione europea ha inviato lo scorso 19 maggio all’Italia un “parare motivato”, secondo stadio della procedura d’infrazione comunitaria, per aver adottato un programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi “non del tutto conforme” alla Direttiva Ue sul combustibile nucleare esaurito e sulle scorie radioattive (Direttiva 2011/70/Euratom).
Le scorie radioattive, ricorda una nota dell’Esecutivo Ue, sono generate dalla produzione di elettricità nelle centrali nucleari, ma anche dall’utilizzo non correlato all’energia di materiali radioattivi per uso medico, per scopi di ricerca, e a fini industriali o agricoli. Questo significa che tutto gli Stati membri generano rifiuti radioattivi.
La Direttiva del 2011 stabilisce un quadro per una gestione responsabile e sicura da parte degli Stati membri del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, per garantire un elevato livello di sicurezza ed evitare di imporre alla società oneri che peserebbero sulle generazioni future. Questo quadro, spiega la nota, in particolare, richiede agli Stati membri di elaborare e attuare programmi nazionali per la gestione di tutto il combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi generati sul proprio territorio, dalla generazione allo smaltimento.
I programmi nazionali notificati a Bruxelles dall’Italia e da altri quattro paesi membri (Croazia, Estonia, Portogallo e Slovenia) “sono risultati non conformi ad alcuni requisiti della direttiva”, afferma la Commissione. Gli Stati membri interessati hanno ora due mesi di tempo per affrontare le carenze individuate dalla Commissione. In assenza di una risposta soddisfacente, l’Esecutivo comunitario può decidere di adire la Corte europea di giustizia.