27 Giu Il conflitto Russia-Ucraina aggrava “l’escalatione della fame nel mondo”
In questi primi tre mesi di guerra cruenta tra la Russia e l’Ucraina il numero di individui che ha varcato la soglia della povertà nel mondo è aumentato di un terzo. Oltre 450 milioni di persone che si sono aggiunte al miliardo che già prima dell’invasione russa aveva difficoltà a reperire cibo a sufficienza (fonte: ONU).
La stima è stata fatta dal Centro Studi Divulga con un lavoro dal titolo “L’escalation della fame” che prende in esame il problema della sopravvivenza alimentare delle popolazioni, che genera ulteriore instabilità a livello globale e spingerà a una nuova ondata di migrazioni che interessano direttamente l’Italia, perché la rotta passa in particolare attraverso i paesi che affacciano sul Mediterraneo. In condizioni simili a quelle odierne, ricorda lo studio pubblicato, solo qualche anno fa tra il 2010 e il 2013 quest’area fu protagonista delle primavere arabe e della imponente onda d’urto migratoria che ne scaturì a seguito dei forti rincari dei prezzi del pane.
La scarsa reperibilità di prodotti alimentari di base è il risultato di un prolungato incremento dei prezzi, partito con la ripresa post-pandemica e alimentato dalla successiva iniezione di denaro pubblico diretta a sostenerla, a cui si è aggiunta, dal ventiquattro febbraio di quest’anno, l’innesco della guerra. Da lì in poi la corsa dei prezzi ha accelerato e nei giorni scorsi i vertici dell’Onu hanno dichiarato che la prosecuzione del conflitto si tradurrebbe in una “dichiarazione di guerra alla food security”.
Pochi giorni fa il direttore esecutivo del World Food Programme, David Beasley, è stato molto diretto affermando che un eventuale prolungamento del blocco dei flussi commerciali dal Mar Nero (dove transita l’esportazione del grano dall’Ucraina verso Europa e Africa) porterà carestie, rivolte e migrazioni di massa.
Per dare l’idea delle conseguenze che molti immaginano come un conflitto “locale” piuttosto che “globale”, ricordiamo che Russia e Ucraina rappresentano, sommate, poco più del 30% delle esportazioni di cereali, oltre il 16% di quelle di mais e oltre il 75% di quelle di olio di semi di girasole.
Per dare un esempio dell’impatto su una singola nazione africana, prendiamo il caso dell’Egitto, paese definito come una “democrazia del pane”, termine con il quale si intende sottolineare come parte del consenso politico si fondi sulla possibilità di sussidiare l’acquisto di generi di prima necessità.
L’Egitto spende circa 3 miliardi di dollari l’anno per acquistare grano e altri 5miliardi per sussidiare l’acquisto di pane. Gli aiuti statali sono erogati a circa 68milioni di egiziani, pari al 70% della popolazione del paese, principalmente attraverso il programma denominato Tamween.
L’inflazione che galoppa, come in questo frangente, fa inevitabilmente lievitare velocemente la spesa pubblica. Un aumento del 25% dei prezzi del grano, come quello registrato negli ultimi mesi, può rappresentare un costo aggiuntivo per le casse dello Stato di circa 1 miliardo di dollari. Il rischio è che la coperta risulti sempre più corta e fette sempre più ampie della popolazione possano restare senza protezione. Aumento fame, rivolte, emigrazione sono le prime dirette conseguenze e noi siamo appena dll’altro del Mediterraneo.