01 Mag Il costo dei cambiamenti climatici vale il 5,8% del fatturato delle imprese italiane
In un convegno a Milano sono state presentate le risultanze di uno studio dell’Osservatorio Climate Finance della School of Management del Politecnico che si è proposto di quantificare il costo effettivo per le imprese italiane del cambiamento climatico.
La temperatura media mondiale continua ad aumentare. Le alluvioni sono sempre più frequenti, così come i fenomeni meteorologici estremi. Il Mediterraneo si sta trasformando in una regione arida, sempre più vulnerabile alla siccità e agli incendi boschivi.
L’innalzamento di un grado ha portato alla riduzione del fatturato del 5,8% e un calo della redditività del 3,4%.
La ricerca ha analizzato oltre un milione di aziende in un arco temporale di dieci anni dal 2009 al 2018
Per esempio un’alluvione può costare alle aziende del territorio colpito fino al 4% di fatturato e una perdita di valore degli attivi di bilancio di circa lo 0,9%, che sale all’1,9% nel caso di un incendio di vaste proporzioni.
L’emergenza mondiale legata alla pandemia ha contribuito ad aumentare la percezione del rischio, perché ha mostrato come gli attori economici subiscano conseguenze non solo in modo diretto, ma anche indiretto, attraverso i canali della domanda, dell’offerta o della propria catena di approvvigionamento.
Secondo i dati dell’Osservatorio, sono le piccole imprese quelle che hanno perso di più in redditività (-4%, a fronte del -5,3% di fatturato). Discorso diverso, invece, per le grandi realtà, che potendo agire meglio sui costi e sui processi, nonostante una diminuzione di ricavi e di domanda pari quasi al triplo (-14,6%), hanno contenuto la perdita di marginalità a -3,6%.
Tra i settori, le costruzioni (fatturato a -16,2%, Ebitda a -6,8%), la finanza (-11,8% e -5,9%), che ha subìto un impatto sia diretto sia indiretto attraverso i danni alle imprese clienti, e le estrazioni (-10,4% e -7,6%) hanno patito i maggiori contraccolpi dall’aumento della temperatura.
L’information technology, il real estate e la ricerca e innovazione hanno visto lo stesso calo di fatturato (-6,4%) a fronte però di una diminuzione della marginalità ben differente (rispettivamente -6,8%, -4,6% e -3%).
Il manifatturiero (-5,2% di fatturato e -2,4% di Ebitda) e il retail (-4,5% e -3,1%) sono i settori che si sono meglio difesi, preceduti solo da agricoltura, turismo e trasporti che, scarsamente impattati, hanno contenuto entrambi gli indicatori entro il -3%.
Sempre a fronte di un grado in più di temperatura, la ricaduta è stata peggiore nel Centro Italia (-10,6% di fatturato e -8,5% di Ebitda) e nel Nord Est (-10% e -4,2%), dove però le aziende sono riuscite a conservare una maggiore marginalità.
Il Nord Ovest ha visto una brusca perdita di redditività (-6,8%) ma non altrettanto di fatturato (-4,5%), mentre il Sud e le Isole hanno risentito poco dei cambiamenti climatici (rispettivamente -1% e -2,3% di Ebitda; -4,3% e -3,1% di fatturato).
L’Osservatorio ha analizzato in dettaglio il 2018: come già detto, l’anno più caldo della media nel decennio considerato a cui è corrisposto, in Italia, un calo di fatturato di 133 miliardi di euro. In percentuale, le maggiori ripercussioni si sono avute appunto nel Nord Est (Veneto -7,1%, Trentino Alto Adige -6,7%, Friuli Venezia Giulia -6,4%) e nel Centro (Toscana -6,5%, Lazio -6,3%, Emilia Romagna -5,2%, Umbria -3,2%; Marche e Abruzzo non hanno dato stime apprezzabili), mentre il Nord Ovest ha contenuto le perdite (Lombardia e Liguria -3%, Piemonte -2,5%; in controtendenza la Valle d’Aosta, -4,1%).
Decisamente più limitati i danni al Sud: Calabria e Sardegna si sono attestate a -2%, soglia al di sotto della quale si collocano tutte le altre regioni, dalla Basilicata (-1,9%) al Molise (-1,4%), alla Campania (-1,2%), alla Puglia (-1,1%), fino allo 0,07% della Sicilia.