18 Ago “Inequivocabile” il modo in cui le attività umane cambiano il clima della Terra
Secondo il primo volume del sesto rapporto di valutazione dell‘Intergovernmental Panel on Climate Change, dal titolo “The Physical Science Basis of Climate Change”, pubblicato il 9 agosto scorso, le attività umane stanno cambiando il clima della Terra in maniera “inequivocabile” e “senza precedenti” in centinaia di migliaia di anni. A causa della combustione di fonti fossili di energia (carbone, petrolio e gas), di alcuni processi di produzione industriale, come cemento e acciaio, e della distruzione e della degradazione di ecosistemi ricchi di carbonio come foreste e torbiere, la concentrazione di anidride carbonica, metano, protossido di azoto e altri gas di origine industriale, responsabili dell’effetto serra, è aumentata del 48% rispetto all’epoca preindustriale, passando da 280 a 415 parte per milione. Di conseguenza, sostengono gli scienziati dell’IPCC, la temperatura media dell’atmosfera è aumentata, dal 1850 a oggi, di circa 1,1 °C.
Quest’aumento, apparentemente insignificante, è stato sufficiente per produrre effetti tangibili in ogni regione del pianeta: innalzamento del livello dei mari, scioglimento dei ghiacciai polari e alpini, riscaldamento e acidificazione degli oceani, riduzione della produzione agricola e maggiore frequenza, intensità ed estensione dei cosiddetti eventi meteorologici o climatici estremi, come ondate di caldo, siccità prolungate, piogge torrenziali, uragani e cicloni, alluvioni e mareggiate. Nel linguaggio dell’IPCC, gli eventi meteo-climatici sono ‘estremi’ quando si presentano col valore di una variabile meteorologica o climatica (per esempio: millimetri di pioggia, temperatura, giorni senza pioggia, intensità di una mareggiata) al di sopra o al di sotto di un valore di soglia, prossimo alle estremità superiori (o inferiori) dell’intervallo di valori osservati per quella variabile. Per definizione, le caratteristiche di un evento estremo possono variare da luogo a luogo. Quando un modello meteo-climatico estremo persiste per un periodo lungo, per esempio per tutta una stagione, può essere classificato come un evento climatico estremo, specialmente se produce una media o un totale che è esso stesso estremo.
Nella scorsa estate i climatologi di eventi estremi ne hanno contati diversi, dalle ondate di caldo torrido, che hanno provocato la morte di centinaia di persone negli Stati Uniti e in Canada, alle inondazioni eccezionali che, oltre a causare centinaia di morti e dispersi, hanno devastato beni e infrastrutture in Germania, Belgio e Cina, fino agli incendi violenti ed estesi divampati senza controllo in Siberia, Stati Uniti, Turchia e nel Sud Europa, dal Portogallo alla Francia, dal Portogallo all’Italia. Nelle edizioni precedenti gli scienziati dell’IPCC erano stati molto prudenti nell’associare i cambiamenti climatici agli eventi meteo-climatici estremi. In questa ultima edizione, viceversa, gli scienziati—potendo contare su nuove simulazioni di modelli climatici, analisi avanzate e metodi nuovi che hanno consentito di perfezionare le stime basate su dati glaciologici, geologici e biologici provenienti dagli archivi paleoclimatici, attraverso i quali è ora possibile avere una visione completa di ogni componente del sistema climatico e dei suoi cambiamenti da centinaia di migliaia di anni fino ad oggi hanno asserito che gran parte degli eventi meteo-climatici estremi registrati nell’ultimo decennio sarebbero stati estremamente improbabili senza l’influenza umana sul sistema climatico.
Il rapporto IPCC sostiene che, anche se le nazioni dovessero ridurre in maniera significativa l’attuale livello di emissioni di gas serra, siamo nella condizione di evitare il peggio del cambiamento climatico, ma non di riportare il mondo ai modelli meteorologici più mitigati e temperati che l’umanità ha conosciuto in passato. E comunque, sostiene l’IPCC, nei prossimi 30 anni non sarà possibile fermare l’intensificazione del riscaldamento globale. La temperatura superficiale globale continuerà ad aumentare almeno fino al 2050. È molto probabile, a questo punto, che il riscaldamento globale possa superare 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali già entro il 2040, troncando l’ambizione dell’accordo sul clima di Parigi del 2015. In base all’Accordo di Parigi, adottato nel 2015 nell’ambito della 21a sessione della Conferenza dei Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione ONU sui cambiamenti climatici (COP21), 197 Paesi hanno assunto l’impegno, tra le altre cose, di ridurre le proprie emissioni, in base al principio di equità e di responsabilità comuni e differenziate e di mantenere l’aumento della temperatura media globale “ben al di sotto di 2,0 °C rispetto ai livelli preindustriali” e “di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento a 1,5 °C”. Con 1,5 °C di riscaldamento, dicono gli scienziati dell’IPCC, alcuni degli impatti a lungo termine del riscaldamento globali, in particolare i cambiamenti dello spessore e dell’estensione dei ghiacciai polari e alpini e del livello del mare e degli oceani, saranno “verosimilmente inevitabili” per secoli e millenni. Quasi 1 miliardo di persone in tutto il mondo potrebbe soffrire per effetto di ondate di calore più frequenti, potenzialmente letali. Altre centinaia di milioni farebbero fatica a procurarsi l’acqua a causa di gravi siccità. Numerose specie animali e vegetali si estingueranno a causa dei cambiamenti climatici, destinati a diventare un driver diretto di perdita di biodiversità sempre più critico. Le barriere coralline, che sostengono la pesca di vaste aree del globo, subiranno morie di massa più frequenti. Dal punto di vista della scienza fisica, limitare il riscaldamento globale indotto dall’uomo a un livello specifico richiede di raggiungere almeno zero emissioni nette di anidride carbonica (CO2) e forti riduzioni delle emissioni degli altri gas serra.
L’IPCC conclude che è ancora possibile stabilizzare il clima a un riscaldamento inferiore a 1,5°C e che bisogna fare di tutto per evitare l’evenienza di un riscaldamento di 2 °C, poiché ogni frazione di grado di riscaldamento è critico per limitare i pericoli legati al cambiamento climatico, incluso l’innesco di retroazioni positive (positive feedbacks). In questo senso, l’IPCC chiede di sospendere la costruzione di nuove centrali a carbone e l’esplorazione e lo sviluppo di nuovi combustibili fossili, e invita i governi, gli investitori e le imprese a riversare tutti i loro sforzi in un futuro a basse emissioni di carbonio. Il nuovo report dell’IPCC costituirà un input chiave per i negoziati intergovernativi alla 26a sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici (COP26), prevista a Glasgow, in Scozia, nel novembre 2021. Il volume pubblicato il 9 agosto fa parte del Sesto rapporto di valutazione, che comprende, oltre al volume “The Physical Science Basis of Climate Change” redatto dal I Gruppo di Lavoro dell’IPCC, anche i volumi “Impacts, Adaptation and Vulnerability” (redatto dal Gruppo di Lavoro II, la cui pubblicazione è prevista per autunno 2021) e “Mitigation of Climate Change” (redatto dal Gruppo di Lavoro III, la cui pubblicazione è prevista nell’estate del 2021). L’IPCC è stato creato per fornire ai responsabili delle politiche valutazioni scientifiche sul cambiamento climatico, le sue implicazioni e i potenziali rischi futuri, nonché per proporre opzioni di adattamento e mitigazione. Attraverso le sue valutazioni, l’IPCC determina lo stato delle conoscenze sui cambiamenti climatici. Identifica dove c’è accordo nella comunità scientifica su temi legati al cambiamento climatico e dove invece sono necessarie ulteriori ricerche. Le relazioni vengono redatte e riviste in più fasi, garantendo così obiettività e trasparenza. L’IPCC non conduce ricerche proprie. I rapporti dell’IPCC sono indipendenti, rilevanti per la politica, ma non normativi o prescrittivi. I rapporti di valutazione sono un input chiave nei negoziati internazionali per affrontare il cambiamento climatico. Creato dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UN Environment) e dall’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) nel 1988, l’IPCC conta 195 paesi membri. Nello stesso anno, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato l’azione del WMO e dell’UNEP nella creazione congiunta dell’IPCC.
fonte: isprambiente.gov.it