22 Ago Italian sounding: la contraffazione del made in Italy ci costa 100 miliardi
I dati raccolti ed elaborati dalla Agenzia delle Dogane sui danni prodotti dal cosiddetto Italian sounding (prodotti che sembrano italiani per il nome e le informazioni riportate sulle etichette) portano ad una stima di 100 miliardi il valore di vini, formaggi, olii fasulli in vendita nel mondo.
Il danno per il nostro sistema agroalimentare è notevolissimo, la tendenza è in aumento già da diversi anni, l’attività di contrasto ha portato al sequestro di 2,2 tonnellate di merce contraffatta e all’applicazione di sanzioni per oltre 20 milioni di euro nei primi mesi del 2021.
Nello scorso autunno era nata una nuova agenzia nazionale Qualitalia Spa che è ormai sul punto di diventare realmente operativa. La società è interamente partecipata dall’Agenzia e, con l’ausilio dei laboratori chimici della stessa amministrazione, avrà la capacità di certificare origine, caratteristiche, filiera produttiva di provenienza, anche per i prodotti alimentari.
Dall’Agenzia spiegano che “è proprio grazie alle tecniche di analisi, alla comparazione delle informazioni provenienti da diverse fonti e all’ausilio di strumenti informatici, che il controllo doganale riesce a limitare i potenziali onerosi danni patrimoniali e di immagine che i titolari dei diritti subirebbero, spesso senza possibilità di risarcimento se la merce contraffatta fosse immessa in commercio”.
La produzione e le rotte di trasporto dei prodotti contraffatti sono ormai note. Per la prima imputata numero uno è la Cina, con tutto il corollario dei paesi del Sud-Est Asiatico. La merce poi viaggia via nave attraverso la Grecia in primis per arrivare in Olanda, dove Rotterdam è il capolinea di riferimento per la distribuzione.
Ma c’è un aspetto tutto interno all’Italia da tenere presente. La nostra capacità produttiva nel settore agroalimentare è pari alla crescente domanda di prodotti alimentari di qualità che rappresentano anche uno stile di vita ritenuto invidiabile da quasi tutta la popolazione mondiale.
E’ stato stimato, ad esempio, che negli USA il 99% dei formaggi di tipo italiano siano “tarocchi” nonostante il nome richiami esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese, dalla Mozzarella alla Ricotta, dal Provolone all’Asiago, dal Pecorino Romano al Grana Padano, fino al Gorgonzola. Fra le brutte copie dei prodotti caseari nazionali in cima alla classifica c’è la mozzarella, seguita dal Parmesan, dal provolone, dalla ricotta e dal Romano realizzato però senza latte di pecora.
Giusta la lotta alla contraffazione, che si favorisce anche di un prezzo al pubblico inferiore. Ma la produzione nazionale sarebbe in grado di soddisfare appieno la domanda mondiale anche riducendosi a competere nel solo settore “premium price”?