15 Ago Lavorare dopo il pensionamento: fino a quanto può convenire?
Nel momento in cui si raggiunge il traguardo della pensione, molti si chiedono se continuare a lavorare, dopo la stessa pensione, comporta dei tagli o meno sull’importo che viene erogato. È da sottolineare che, nel corso degli anni il cumulo tra pensioni e redditi da lavoro è stato oggetto di numerosi interventi legislativi, in un primo momento ispirati al principio dell’integrale cumulabilità del trattamento di pensione con i redditi; dopo, diretti a ridurre o eliminare del tutto tale cumulabilità, vedi articolo 72 della legge 388/2000, che prevedeva il cumulo per le pensioni liquidate con almeno 40 anni di contributi. La norma, puntava a scoraggiare il ricorso alla pensione di anzianità. Ma un intervento, senza dubbio migliorativo per i pensionati, si è avuto con l’articolo 19 del Dl 112/2008, convertito con modificazioni, in legge 133/2008; la normativa è stata totalmente modificata, introducendo l’integrale cumulabilità dal 1° gennaio 2009 delle pensioni di anzianità, a carico di tutte le forme di assicurazione obbligatoria con i redditi, siano essi derivanti da un rapporto di lavoro dipendente che da un’attività da lavoro autonomo.
Di conseguenza, tutte le pensioni di anzianità (si ricorda che ora la pensione di anzianità è stata eliminata per essere sostituita dalla denominazione di pensione anticipata) godono dello stesso regime di totale cumulabilità con i redditi da lavoro autonomo e dipendente, al di là del regime pensionistico, sia esso retributivo o misto, al quale appartengano.
Per quanto riguarda le prestazioni maturate in base con il sistema contributivo, il cumulo della pensione con i redditi da lavoro è possibile a condizione che risulti soddisfatta almeno una delle seguenti condizioni: 1 siano stati compiuti almeno 60 anni di età se donna o 65 anni se uomo; 2 ci siano almeno 40 anni di contribuzione; 3 ci siano almeno 35 anni di contributi e 61 anni di età.
In pratica, sono dei requisiti che determinano ormai nella maggior parte dei casi la totale cumulabilità dei trattamenti pensionistici con i redditi da lavoro, anche per le prestazioni liquidate interamente con il sistema contributivo.
Ma non tutte le pensioni restano escluse dal divieto di cumulo con i redditi da lavoro; infatti, il divieto di cumulo resta in vigore nei confronti dei pubblici dipendenti, nel caso in cui gli stessi vengano riammessi in servizio presso le pubbliche amministrazioni. Inoltre, continuano ad essere soggetti al divieto di cumulo coloro i quali sono titolari di pensione ai superstiti e degli assegni di invalidità con gli altri redditi; tali divieti sono stati introdotti con la legge 335/1995 (riforma Dini), e sono rimasti in vigore oltre il 31 dicembre 2008. In questo caso, chi è interessato si troverà costretto a rinunciare a una parte della propria pensione o rendita in caso di reddito superiore a determinati livelli. È da sottolineare anche che, nel corso degli ultimi anni, sono state introdotte delle forme pensionistiche, che potremmo definire alternative, che hanno regole abbastanza rigide in merito al cumulo dei trattamenti con i redditi da lavoro, dipendente e autonomo. Ci riferiamo in particolare, all’Ape sociale, cioè l’anticipo pensionistico, che viene prorogato di anno in anno con le varie leggi di Bilancio: non è una vera e propria pensione ma, appunto, è una prestazione erogata fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia; poi ci sono quelle pensioni, che possiamo far rientrare nella categoria delle pensioni anticipate, vedi la pensione riservata ai lavoratori cosiddetti precoci, cioè coloro che hanno almeno un anno di contribuzione effettiva prima dei 19 anni di età. Da non dimenticare, le varie pensioni quota 100, 102 e la pensione anticipata flessibile quota 103 che, in pratica, sono soggetti a un divieto di cumulo, quasi totale con i redditi da lavoro.
Come già scritto nel precedente articolo, si può dire che la pensione di anzianità, ora denominata anticipata (liquidata nel sistema retributivo, misto o contributivo) è totalmente cumulabile con i redditi da lavoro autonomo o dipendente. Va detto che, in ogni caso, per accedere alla pensione anticipata è necessario cessare il rapporto di lavoro dipendente e rioccuparsi successivamente mentre, lo stesso discorso non opera per i lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti) che possono percepire la pensione anticipata senza cessare l’attività lavorativa e quindi, continuare a lavorare. Vediamo le prestazioni che possiamo far rientrare nella famiglia delle pensioni anticipate, che non cumulano totalmente la pensione con i redditi da lavoro.
Tali prestazioni pensionistiche, sono incumulabili con i redditi da lavoro dipendente e autonomo; l’incumulabilità vige fino al raggiungimento dell’età stabilita per l’accesso alla pensione di vecchiaia.
L’unica eccezione prevista, è per chi consegue un reddito da lavoro autonomo occasionale fino a 5mila euro lordi annui; si ricorda che tale prestazione è quella di cui all’articolo 2222 del Codice civile, che prevede l’incarico a svolgere una determinata attività con autonomia e senza vincoli con chi affida l’incarico stesso, meglio conosciuto come contratto d’opera.
Con circolare 117 del 9 agosto 2019, l’Inps aveva fornito importanti chiarimenti sull’incumulabilità della pensione quota 100, estensibile a quota 102 e 103, con i redditi, evidenziando quali sono i redditi cumulabili e quelli incumulabili.
Per il conseguimento delle pensioni in esame, è richiesta la cessazione del rapporto di lavoro dipendente; per i medesimi fini, non è invece richiesta la cessazione dell’attività di lavoro autonomo (ad esempio, cancellazione dagli elenchi dei lavoratori autonomi, dall’iscrizione camerale, dagli albi professionali, chiusura della partita Iva e altro), stante la previsione normativa dell’incumulabilità della pensione con i redditi da lavoro e non anche dell’incompatibilità della stessa con lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Pertanto, in caso di svolgimento di attività di lavoro autonomo, fermo restando l’obbligo del versamento della contribuzione obbligatoria presso la relativa gestione, i redditi eventualmente percepiti a seguito dello svolgimento dell’attività descritta rilevano, ai fini della incumulabilità della pensione quota 100, 102 e 103, con la sospensione da parte dell’Inps della pensione.
Qualche dubbio rimane per la pensione di anzianità Opzione donna; infatti, nessuno si è pronunciato in merito alla possibilità o meno di cumulare la prestazione con i redditi da lavoro. Una lettura rigida della normativa, porterebbe a concludere che le lavoratrici in questione non possono cumulare la pensione con reddito da lavoro, dato che l’accesso avveniva con 35 anni di contributi e 58 di età (ora portati a 60).
Si deve precisare però, che la pensione liquidata con le regole del regime sperimentale non è una pensione conseguita nel regime contributivo puro (secondo quanto previsto dalla riforma Dini del 1995), motivo per cui una lettura logico-sistematico della norma dovrebbe far propendere comunque per la cumulabilità con gli altri redditi da lavoro dipendente e autonomo.
La pensione anticipata con requisito ridotto per i lavoratori precoci – a far data dalla sua decorrenza – non è cumulabile con redditi da lavoro subordinato o autonomo prodotti in Italia o all’estero, per il periodo di anticipo rispetto ai requisiti vigenti per la generalità dei lavoratori.
Si può affermare che la pensione di vecchiaia, sia essa liquidata nel sistema retributivo, misto o contributivo, è totalmente cumulabile con i redditi da lavoro autonomo o dipendente. È da sottolineare che, in ogni caso, lo stesso discorso fatto per le pensioni anticipate, per accedere alla pensione di vecchiaia è necessario cessare il rapporto di lavoro dipendente e rioccuparsi successivamente mentre la stessa regola non opera per i lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti) che possono percepire la pensione di vecchiaia senza cessare l’attività lavorativa e quindi, continuare a lavorare.
Vediamo le prestazioni che possiamo far rientrare nel gruppo delle pensioni di vecchiaia, che non cumulano totalmente la pensione con i redditi da lavoro.
Assume particolare rilevanza, il cumulo dell’assegno ordinario di invalidità o pensioni di invalidità con i redditi da lavoro.
I lavoratori dipendenti del settore privato e gli autonomi, titolari dell’assegno ordinario di invalidità vedono ridursi l’erogazione dell’assegno qualora il reddito superi determinate soglie. Infatti, con la legge 335/1995 se il titolare di un assegno ordinario di invalidità che svolge attività lavorativa dipendente, autonoma o di impresa, l’importo dell’assegno viene ridotto: 1 in misura pari al 25% se il reddito proveniente da questa attività supera 4 volte l’importo del trattamento minimo annuo calcolato in misura pari a 13 volte l’importo mensile in vigore al 1° gennaio di ciascun anno; 2 in misura pari al 50% se il reddito ricavato da questa attività supera 5 volte l’importo del trattamento minimo annuo calcolato in misura pari a 13 volte l’importo mensile in vigore al 1° gennaio di ciascun anno.
Vi è anche altra riduzione, se l’assegno è di importo, comunque, superiore al trattamento minimo; infatti, la parte eccedente il trattamento minimo può subire un secondo taglio se l’anzianità contributiva sulla base della quale è stato calcolato l’assegno è inferiore a 40 anni di contributi.
Nel caso di lavoro dipendente è pari al 50% della quota eccedente il trattamento minimo, fermo restando che la decurtazione non può superare il reddito stesso; nel caso di redditi da lavoro autonomo la riduzione è pari al 30% della quota eccedente il trattamento minimo e comunque non può essere superiore al 30% del reddito prodotto.
La trattenuta, quando vi è incumulabilità, è effettuata sulla retribuzione a cura del datore di lavoro al quale il lavoratore deve dichiarare la propria qualità di pensionato; il datore di lavoro deve provvedere al versamento di quanto trattenuto all’ente previdenziale che eroga la pensione. Viene, invece, effettuata dall’ente previdenziale sulla pensione nei casi di: tardiva liquidazione della pensione, operando sugli arretrati; attività lavorativa dipendente svolta dal pensionato all’estero. In tal caso il beneficiario è tenuto a comunicare all’ente la data di inizio dell’attività, il numero delle giornate di lavoro e l’importo mensile della retribuzione; possesso, da parte del pensionato, di redditi da lavoro autonomo.
I titolari di pensione di invalidità e di assegno di invalidità assoggettati al regime di incumulabilità, devono presentare la dichiarazione attestante i redditi da lavoro autonomo entro lo stesso termine previsto per la dichiarazione dei redditi ai fini dell’Irpef. In particolare, devono presentare la dichiarazione attestante i redditi da lavoro autonomo riferiti all’anno precedente e la dichiarazione “a preventivo” che consenta di effettuare, provvisoriamente, le trattenute delle quote di pensione non cumulabili con i redditi da lavoro autonomo sulla base della dichiarazione dei redditi che prevedono di conseguire nel corso dell’anno. La legge 662/1996, ha previsto che i soggetti obbligati alla presentazione della comunicazione dei redditi da lavoro autonomo, che omettano di produrre la dichiarazione stessa, dovranno versare all’ente previdenziale di appartenenza una somma pari all’importo annuo della pensione percepita nel corso dell’anno a cui si riferisce la dichiarazione; quanto dovuto, viene trattenuto direttamente dall’ente competente, sulle rate di pensione dovute al soggetto inadempiente.
È compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa dipendente o parasubordinata, soltanto nel caso in cui i relativi redditi non superino gli 8mila euro lordi annui e con lo svolgimento di attività di lavoro autonomo nel limite di reddito di 4.800 euro lordi annui. Nelle ipotesi di superamento del limite annuo così determinato, il soggetto decade dall’Ape sociale; l’indennità percepita nel corso dell’anno in cui il superamento si è verificato diviene indebita e la sede Inps procede al relativo recupero.