13 Gen Lavoro sportivo: l’INPS fa saltare pensioni e chiede anche il rimborso
La nuova riforma dello sport ha regolarizzato molti rapporti, ma ha trasformato le piccole società amatoriali in imprese che devono affrontare la burocrazia fiscale, richiedendo commercialisti o consulenti del lavoro. Anche chi insegna poche ore al mese è considerato un lavoratore dipendente e deve essere registrato su un portale collegato all’agenzia delle entrate, con un aggravio di tempo. Il lavoro sportivo è assimilato a lavoro dipendente e incompatibile con Quota 100, ma una soluzione potrebbe essere permettere attività sportive sotto i 5.000 euro. Tuttavia, serve un pronunciamento dell’INPS. Il Coni ha chiesto alle società sportive di comunicare i contratti sportivi stipulati a pensionati Quota 100, ma un numero preciso non è ancora disponibile. Le società sono appesantite dalla burocrazia e dai rimborsi.
Una beffa capace di generare il caos e mettere a dura prova tante società. “Questa norma è entrata a vigore nel luglio del 2023 – spiega Marco Ceccantini, presidente Uisp Firenze dalle colonne de La Nazione –. Prima di allora i compensi inferiori a 10mila euro non erano considerati reddito. Siamo passati da una situazione agevolativa a una situazione che in alcuni casi è anche penalizzante. Tanti dirigenti accompagnatori o istruttori che sono andati in pensione con quota 100 si trovano ora in difficoltà: percependo cifre molto basse, spesso un mero riconoscimento al lavoro e alla competenza, si sono visti richiedere la restituzione anche di un anno intero di pensione, a fronte di pochi mesi di retribuzione sportiva”. La questione è tuttora irrisolta. Al momento l’unica soluzione per non vedersi recapitare la lettera dell’INPS è una: stracciare il contratto di lavoro sportivo e fare tutto a titolo gratuito. “In questo modo però si rischia di incentivare il fenomeno del lavoro nero – osserva il presidente Uisp di Firenze –. Serve al più presto un intervento per fare chiarezza“.