Per la notifica degli atti tributari è rilevante il domicilio fiscale del contribuente

Per la notifica degli atti tributari è rilevante il domicilio fiscale del contribuente

La Suprema corte ricorda che è il luogo predeterminato dalla legge secondo criteri obiettivi, mentre l’indirizzo è il luogo fisico presso cui il contribuente può essere reperito.

La disciplina delle notificazioni degli atti tributari si fonda sul criterio del domicilio fiscale ed è onere del contribuente comunicarlo all’Ufficio tributario, in particolare in caso di sua variazione. Infatti, in difetto di tale comunicazione l’Ufficio procedente è legittimato ad eseguire le notifiche nel domicilio fiscale per ultimo noto, eventualmente nella forma semplificata di cui alla lett. e) dell’articolo 60, comma 1, Dpr n. 600/1973. Questo, in sintesi, l’insegnamento della Suprema corte, enunciato nella sentenza n. 14435 del 23 maggio 2024, ove si accoglie la tesi dell’Agenzia delle entrate in tema di opponibilità del cambio di domicilio fiscale in occasione della notifica degli atti tributari.

La vicenda processuale
La vicenda in esame prende le mosse dal ricorso di un contribuente avverso una cartella di pagamento per maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale, nonché di quella sostitutiva per l’atto di mutuo, dettata della revoca dell’agevolazione “prima casa”, per mancato trasferimento della residenza nel termine previsto a tal fine. Il ricorrente lamentava, infatti, che gli avvisi di accertamento, presupposti alla cartella impugnata, fossero stati notificati al vecchio indirizzo, oltre il termine di 30 giorni dalla variazione del domicilio fiscale, inficiando così la validità della notifica. A giudizio di questi, infatti, nel caso di specie, avrebbe dovuto trovare applicazione quanto disposto dall’articolo 60, terzo comma, del Dpr n. 600/1973, in tema di notificazioni, che sul punto prevede: “Le variazioni e le modificazioni dell’indirizzo hanno effetto, ai fini delle notificazioni, dal trentesimo giorno successivo a quello dell’avvenuta variazione anagrafica (…)”.

In proposito, il contribuente precisava che detta variazione era avvenuta già in data 2 gennaio 2013, mentre l’avviso di accertamento era stato notificato, al vecchio indirizzo, in data 6 febbraio 2013. Peraltro, la circostanza del cambio di residenza sarebbe stata nota agli Uffici finanziari proprio in ragione della revoca dell’agevolazione “prima casa”, intervenuta esattamente a causa del tardivo cambio di residenza da parte del contribuente.

Di diverso avviso, invece, l’Agenzia delle entrate che, nel caso in esame, riteneva applicabile la specifica disciplina della notificazione degli atti tributari, e dunque il diverso termine previsto dall’articolo 58, terzo comma, del citato Dpr, il quale prevede: “Le cause di variazione del domicilio fiscale hanno effetto dal sessantesimo giorno successivo a quello in cui si sono verificate”.  Sicché la notifica in questione doveva considerarsi valida, poiché eseguita presso il domicilio fiscale che, al momento del recapito dell’atto, era ancora riferito al contribuente (non essendo trascorsi i 60 giorni previsti dal citato articolo).
La difesa del ricorrente, tuttavia, trovava accoglimento presso la Commissione tributaria provinciale di Ferrara in primo grado e, in sede di impugnazione, presso la Commissione tributaria regionale della Emilia-Romagna.

La Commissione regionale, in particolare, sottolineava come non fosse censurabile neanche la condotta del  contribuente che non aveva indicato nella sua ultima dichiarazione dei redditi (quella del 2012 anteriore alla notificazione dell’avviso di accertamento presupposto) un indirizzo difforme del suo domicilio fiscale, allora coincidente con la residenza anagrafica, per poi modificare il proprio indirizzo anagrafico il 2 gennaio 2013, “prima di poterlo indicare nella successiva dichiarazione dei redditi dell’anno 2013”.
Rimanendo del suo convincimento, l’Amministrazione finanziaria decideva infine di ricorrere alla Suprema Corte con l’unico motivo di impugnazione relativo alla falsa applicazione degli articoli 58 e 60 del Dpr n. 600/1973.

La pronuncia della Cassazione
I giudici di legittimità chiamati a pronunciarsi sulla vicenda in esame hanno accolto la tesi dell’Amministrazione finanziaria chiarendo che l’articolo 60, terzo comma del Dpr 600/1973 disciplina unicamente le variazioni dell'”indirizzo” e non quelle del “domicilio fiscale“.
Sul punto, infatti, il Supremo collegio ricorda che: “i due concetti non coincidono: il domicilio fiscale è un luogo predeterminato dalla legge secondo criteri obiettivi ( art. 58 D.P.R. 600/73 ); l'”indirizzo”, invece, è il luogo fisico presso il quale il contribuente può essere reperito, ma sempre nell’ambito del domicilio fiscale stabilito dalla legge ( art. 60 D.P.R. 600/73 ). Gli effetti della variazione del domicilio fiscale sono stabiliti dall’ art. 58 D.P.R. 600/73 , il quale prevede un’ultrattività del precedente domicilio fiscale di 60 giorni; gli effetti della variazione dell’indirizzo nell’ambito del medesimo Comune di domicilio fiscale sono invece disciplinati dal successivo art. 60 D.P.R. 600/73 , il quale prevede (in seguito all’intervento di Corte cost., 19-12-2003, n. 360 ) un’ultrattività del vecchio indirizzo di 30 giorni“.

Invero, a dispetto delle pronunce di primo e secondo grado intervenute nella vicenda in esame, la Corte torna a pronunciarsi in tema di notificazione degli atti tributari, richiamando e confermando un orientamento ormai consolidato sul punto (Cassazione, sentenze n. 27129/2016 e n. 1206/2011). Nel caso in esame, pertanto, la notifica era valida perché avvenuta nel termine di inopponibilità all’erario del mutamento del domicilio fiscale. Infatti, i 60 giorni indicati dalla citata norma “valgono a consentire all’Amministrazione di beneficiare, incondizionatamente, di un perimetro temporale adeguato ai fini dell’effettuazione della notifica di un atto al vecchio indirizzo del soggetto che ne è destinatario e che pure ha comunicato all’anagrafe d’essersi trasferito”.
I giudici di legittimità hanno dunque accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando senza rinvio la sentenza impugnata, decidendo nel merito la causa.

Osservazioni
La pronuncia in esame riafferma la centralità del concetto di domicilio fiscale, ai fini di un’efficace applicazione della disciplina tributaria. In primis, infatti, esso è funzionale alla corretta attuazione del rapporto d’imposta, atteso che determina una chiara correlazione spaziale tra l’ente tributario e il soggetto sottoposto alla potestà impositiva, sia esso persona fisica o giuridica.
Inoltre, per quanto qui d’interesse, il “domicilio fiscale”, circoscritto dall’ambito comunale di riferimento, individua il territorio entro il quale l’Amministrazione finanziaria esegue le notifiche ai contribuenti residenti nel territorio dello Stato. In proposito l’articolo 60, primo comma, lettera c), del Dpr n. 600/1973 prevede infatti, quale regola generale che, “salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario”.

Peraltro, al fine di garantire il massimo grado di conoscibilità effettiva (e non meramente legale) degli atti impositivi, è richiesto che il messo notificatore (o l’ufficiale giudiziario), prima di dichiarare l’irreperibilità assoluta del contribuente presso il domicilio indicato (articolo 60, comma 1, lettera e) del Dpr n. 600/1973), debba svolgere ricerche volte a verificare che quest’ultimo non abbia più né l’abitazione né l’ufficio o l’azienda nel Comune, già sede del proprio domicilio fiscale (Corte di cassazione n. 18677/2020).
Alla luce di queste considerazioni è corretto che detto domicilio sia un luogo predeterminato dalla legge secondo criteri obiettivi (articoli 58 e 59, Dpr n. 600/1973). Al contempo, è onere del contribuente notiziare tempestivamente l’Amministrazione finanziaria del suo eventuale trasferimento in altro luogo (ossia, presso altro comune), al fine di consentire la corretta gestione del rapporto impositivo.

Sul punto, tuttavia, la stessa Corte di cassazione ha più volte ricordato come: “Tale “ius variandi” dev’essere peraltro esercitato in buona fede, nel rispetto del principio dell’affidamento che deve informare la condotta di entrambi i soggetti del rapporto tributario: pertanto, il contribuente che abbia indicato nella propria denuncia dei redditi il domicilio fiscale in un luogo diverso da quello precedente, non può invocare detta difformità, sfruttando a suo vantaggio anche un eventuale errore, al fine di eccepire, sotto il profilo dell’incompetenza per territorio, l’invaliderai dell’atto di accertamento compiuto dall’ufficio finanziario del domicilio da lui stesso dichiarato” (Corte di cassazione, sentenza n. 11170/2013, n. 9567/2020, n. 25680/2016 e n. 5358/2006).

fonte: fiscooggi.it