Per le associazioni sportive dilettantistiche servono requisiti formali, ma anche reali

Per le associazioni sportive dilettantistiche servono requisiti formali, ma anche reali

Per usufruire degli sconti d’imposta di cui sono beneficiarie, le Asd devono dimostrare di svolgere concretamente attività senza fini di lucro e non commerciali.

Ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali a favore delle associazioni sportive dilettantistiche, relative alle imposte sui redditi e all’Iva, il possesso del requisito formale rappresentato dalla affiliazione alle federazioni sportive nazionali o a enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti, non è sufficiente. Per usufruire del regime di favore è necessaria la dimostrazione del presupposto sostanziale, rappresentato dalla reale sussistenza dei requisiti previsti dalla legge, costituiti dallo svolgimento effettivo di attività senza fine di lucro e a livello dilettantistico. Sono questi i principi di recente ribadirti dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 5132 del 27 febbraio 2025.

Il caso
La lite in commento nasceva dalla notifica da parte dell’Agenzia di un avviso di accertamento per imposte dirette e Iva, nei confronti di associazione sportiva dilettantistica di Ariccia, relativo all’anno d’imposta 2011. In particolare, veniva disconosciuta la natura di “ente non commerciale” della contribuente. L’ufficio dell’Agenzia giungeva a questa conclusione valutando l’effettiva attività svolta dalla parte privata: in particolare venivano valorizzati elementi come l’omessa iscrizione al Coni per l’anno accertato, il mancato versamento delle quote associative e la mancata distinzione nei rendiconti finanziari, preventivo e consuntivo, dei flussi derivanti dall’attività caratteristica dell’associazione e quelli derivanti dall’attività economica.
Incardinato il giudizio tributario da parte dell’associazione dilettantistica, l’allora Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto dall’Agenzia avverso la sentenza di accoglimento del ricorso originario proposto dalla parte privata in quanto, a dire dei giudici, era stata provata l’iscrizione dell’associazione al Coni, nonché la partecipazione della stessa, nell’anno 2011, al campionato di calcio a cinque – serie B, organizzato dalla Figc. I giudici concludevano affermando che le irregolarità riscontrate nella contabilità della associazione sportiva risultavano essere di natura meramente formale, tali da non pregiudicare la natura di “ente non commerciale”.
L’Agenzia proponeva ricorso per cassazione, eccependo, tra l’altro, la violazione di numerose disposizioni di legge, per avere i giudici ritenuto erroneamente che la contribuente potesse beneficiare del regime fiscale agevolato previsto per le associazioni sportive dilettantistiche, in mancanza di prova sia del requisito formale di iscrizione al Coni o alla federazione sportiva a questo associata per l’anno di imposta in contestazione, sia del requisito sostanziale consistente nell’effettivo rispetto delle clausole statutarie, qualificando le violazioni riscontrate come mere irregolarità. L’Asd rimaneva intimata.

La decisione della Cassazione
Con l’ordinanza in commento i giudici della Corte suprema, a conferma di un orientamento giurisprudenziale consolidato, affermano che “l’esenzione d’imposta, prevista dall’art. 148 del d.P.R. n. 917 del 1986 in favore delle associazioni non lucrative, dipende non solo dalla veste giuridica assunta dall’associazione, che costituisce un elemento formale, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sul contribuente. Più in particolare, si è ritenuto che «Ai fini del riconoscimento del regime agevolato di cui all’art. 1 della legge n. 398 del 1991, rileva la qualificazione dell’associazione sportiva dilettantistica quale organismo senza fine di lucro da intendersi, in aderenza alla nozione eurounitaria, quello il cui atto costitutivo o statuto escluda, in caso di scioglimento, la devoluzione dei beni agli associati, trovando tale requisito preciso riscontro, ai fini IVA, nell’art. 4, comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972 e, per le imposte dirette, nell’art. 111, comma 4-quinquies (oggi art. 148, comma 8) del d.P.R. n. 917 del 1986. Alla formale conformità delle regole associative al dettato legislativo si aggiunge, poi, l’esigenza di una verifica in concreto sull’attività svolta al fine di evitare che lo schema associativo (pur formalmente rispettoso degli ulteriori requisiti prescritti dalle lettere a), c), d), e) ed f) degli artt. 148, comma 8, del vigente D.P.R. n. 917 del 1986 e 4, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972) sia di fatto impiegato quale schermo di un’attività commerciale svolta in forma associativa.

Brevi osservazioni
Prima di esaminare la vicenda processuale in commento, è opportuno premettere che, con il decreto legislativo n. 36/2021, è stato disposto il riordino e la riforma “…delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo”. Secondo le norme attualmente in vigore, la possibilità, per le associazioni sportive dilettantistiche, di godere dei benefici fiscali è subordinata alla loro iscrizione nel Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche (Rasd). Si tratta di un registro, istituito con l’articolo 4 del decreto legislativo n. 39/2021 e tenuto presso il dipartimento per lo Sport.
L’articolo 1 del citato Dlgs n. 36/2021 definisce l’associazione sportiva dilettantistica come …il soggetto giuridico affiliato ad una Federazione Sportiva Nazionale, ad una Disciplina Sportiva Associata o ad un Ente di Promozione Sportiva, anche paralimipica, e comunque iscritto nel Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche di cui al decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 39.
Il successivo articolo 10 del medesimo decreto legislativo dispone che la certificazione della natura dilettantistica dell’attività svolta dall’associazione sportiva, ai fini dell’applicazione delle varie norme che l’ordinamento ricollega a tale qualifica, avviene attraverso l’iscrizione nel citato Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche.
Allo stato attuale, pertanto, l’iscrizione al Rasd è condizione necessaria per godere di benefici fiscali e contributi pubblici. Il registro del Coni non è stato abrogato, ha mantenuto una rilevanza in ambito strettamente sportivo, mentre il nuovo registro ha una competenza in ambito civilistico, fiscale e amministrativo.

In precedenza, al momento in cui si sono svolti i fatti riguardanti il caso in commento, il trattamento normativo delle associazioni sportive dilettantistiche era contenuto, principalmente nelle leggi nn. 398/1991, 289/2002 e 128/2004. Sia la precedente che la nuova normativa prevedono diverse agevolazioni fiscali per le associazioni sportive dilettantistiche. Si tratta, chiaramente, di benefici fiscali che vengono riconosciuti soltanto in caso di rispetto di determinate condizioni da parte dell’ente.
La decisione in esame quindi torna, facendo chiarezza, sul tema della spettanza o meno delle agevolazioni fiscali in caso di enti di tipo associativo che rispettano soltanto formalmente il dato normativo senza avere in concreto le caratteristiche richieste dalla legge. La spettanza, infatti, del regime fiscale agevolato in questione richiede lo “spirito” non commerciale delle attività svolte dall’associazione a livello dilettantistico.
La suddetta pronuncia ha, quindi, precisato che, se è vero che l’applicabilità della disposizione è subordinata alla sussistenza del requisito formale (affiliazione dell’associazione alle federazioni sportive nazionali o a enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti), ai fini del riconoscimento delle agevolazioni fiscali aventi per oggetto le imposte sul valore aggiunto e sui redditi, tuttavia il possesso del requisito formale non è sufficiente, essendo necessaria la dimostrazione del presupposto sostanziale, costituito dalla effettiva sussistenza dei requisiti previsti dalla legge.

Ne discende che non sono determinanti il contenuto formale dello statuto o dell’atto costitutivo, che pure è obbligatorio per quanto riguarda i principi cui deve conformarsi l’attività, né la mera evidenza delle prescrizioni e delle regole organizzative (regolarità della tenuta dei libri contabili, regolarità delle iscrizioni dei soci, osservanza del principio di democraticità dell’ente), né la veste giuridica assunta: ai fini del controllo e delle valutazioni, ciò che rileva è infatti l’esplicazione concreta di attività senza fini di lucro, nel perseguimento delle finalità associative (in tal senso, si veda Cassazione n. 3900/2023), il cui onere probatorio incombe sul contribuente (così, fra tante, Cassazione, n. 29500/2020).
Inoltre, con specifico riferimento al dato formale, la Corte di legittimità ha anche affermato che gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato a condizione non solo dell’inserimento, nei loro atti costitutivi e negli statuti, di tutte le clausole dettagliatamente indicate dalla norma, ma anche dell’accertamento che va effettuato dal giudice di merito con congrua motivazione, che la loro attività si svolga, in concreto, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse (fra tante, Cassazione, n. 862/2012 e n. 11456/2020).

In conclusione, si è anche precisato che, secondo le regole generali, l’onere di provare i presupposti di fatto che giustificano l’esenzione è a carico del soggetto che la invoca, ossia l’associazione, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’articolo 2697 del codice civile (cfr, da ultimo, Cassazione n.  n. 23167/2017).