29 Giu Perdite fiscali ed eccedenze Ace, da imposte anticipate a tax credit
L’Agenzia nei chiarimenti, tra l’altro, precisa che tra i beneficiari della disciplina agevolativa rientrano tutte le società, a prescindere dal settore in cui operano
Con la risoluzione n. 44/E del 28 giugno 2021, l’Agenzia delle entrate fornisce chiarimenti interpretativi e operativi per la fruizione del nuovo regime di trasformazione delle attività per imposte anticipate (“DTA”) in credito d’imposta, riguardanti sia l’ambito soggettivo che oggettivo dell’agevolazione.
Con l’articolo 55 del Dl n. 18/2020 è stata introdotta, quale misura di sostegno finanziario alle imprese, una nuova forma di trasformazione delle DTA in crediti d’imposta, in aggiunta alla precedente “edizione” disciplinata dal Dl n. 225/2010, mediante l’integrale sostituzione dell’articolo 44-bis del Dl n. 34/2019, ed è stata modificata con successivi interventi normativi che ne hanno previsto, tra l’altro, la proroga fino al 31 dicembre dell’anno in corso (per effetto dell’articolo 19 del Dl n. 73/2021, in corso di conversione). Come precisato nella relazione illustrativa del “Cura Italia”, con l’articolo 55 è stata introdotta una «disposizione volta ad incentivare la cessione di crediti deteriorati che le imprese hanno accumulato negli ultimi anni, anche per effetto della crisi finanziaria, con l’obiettivo di sostenerle sotto il profilo della liquidità nel fronteggiare l’attuale contesto di incertezza economica».
Il rinvio espresso alla precedente disciplina del Dl n. 225/2010, per alcuni aspetti procedurali, ha fatto emergere alcuni dubbi interpretativi che hanno reso necessario l’intervento dell’Agenzia per chiarire le concrete modalità operative della disciplina in esame.
Cosa prevede la disciplina
In sintesi, la norma agevolativa consente ai destinatari di trasformare in crediti di imposta le DTA relative a perdite fiscali ed eccedenze Ace riportate a nuovo, in presenza della cessione di crediti “deteriorati” da perfezionarsi entro il 31 dicembre 2021.
In particolare, nel caso in cui una società ceda a titolo oneroso, entro il 31 dicembre 2021, crediti pecuniari vantati nei confronti di debitori considerati inadempienti, in base al comma 5 dell’articolo 44-bis, può trasformare in credito d’imposta le DTA – anche se non iscritte in bilancio – riferite ai seguenti componenti:
(i) perdite fiscali non ancora computate in diminuzione del reddito imponibile ai sensi dell’articolo 84 del TUIR, alla data della cessione;
(ii) importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (le c.d. eccedenze ACE), non ancora dedotto né fruito tramite credito d’imposta alla data della cessione.
La trasformazione è consentita nei limiti del 20% del valore nominale dei crediti ceduti con un tetto massimo di 2 miliardi di euro, per ciascuno degli anni 2020 e 2021, determinato tenendo conto di tutte le cessioni effettuate, rispettivamente, entro il 31 dicembre 2020 e il 31 dicembre 2021, dalle società tra loro legate da rapporti di controllo, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, e dalle società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.
I crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione, che avviene alla data di efficacia giuridica della cessione dei crediti, possono essere utilizzati, senza limiti di importo, in uno dei seguenti modi:
– in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del Dlgs n. 241/1997
– mediante cessione, ai sensi dell’articolo 43-bis o dall’articolo 43-ter del Dpr n. 602/1973
– mediante richiesta di rimborso.
Inoltre, i crediti d’imposta, da indicare nella dichiarazione dei redditi, non rientrano nella base imponibile, né ai fini dell’Ires, né ai fini dell’Irap.
Per avvalersi della facoltà di conversione è necessario esercitare (o aver già esercitato) l’opzione prevista dall’articolo 11 del Dl n. 59/2016 per convertire le DTA di cui al Dl n. 225/2010, e pagare il “canone DTA”. Tale canone – ove dovuto – va corrisposto annualmente a partire dal 2021 e fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2030 ed è pari all’1,5% dell’importo delle DTA convertibili in crediti di imposta eccedente rispetto alle imposte versate.
I chiarimenti dell’Agenzia delle entrate
Per quanto riguarda l’ambito soggettivo della misura, l’Agenzia ha tenuto a precisare, sulla base del dato letterale della norma, che tra i beneficiari rientrano tutte le società, a prescindere dal settore in cui operano.
La possibilità di fruire dell’agevolazione è infatti riconosciuta a tutte le “società”, che presentino perdite fiscali o eccedenze Ace non ancora computate a riduzione dell’imponibile (comma 1 dell’articolo 44-bis citato).
Il dubbio interpretativo, come sottolineato nel documento di prassi, trae origine dalle analogie che la disciplina in esame presenta rispetto a quella introdotta con il Dl n. 225/2010, originariamente concepita con particolare riferimento alle favore di banche e altri intermediari finanziari.
Le uniche esclusioni rispetto alla formulazione generica – come è ordinariamente previsto per le misure agevolative che costituiscono “aiuti di Stato” ai sensi della normativa europea in materia di concorrenza – riguardano le “società” per le quali sia stato accertato lo stato o anche solo il rischio di “dissesto” ovvero lo stato di “insolvenza”, nonché le cessioni di crediti tra “società” che sono tra loro legate da rapporti di controllo ai sensi dell’articolo 2359 del cc e le società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto (comma 6 dell’articolo 44-bis citato). Sul punto, è stato anche ricordato come, con precedenti risposte ad interpelli pubblicati, l’Agenzia abbia avuto modo di precisare che rientrano nell’ambito soggettivo di applicazione della misura, oltre alle “società”, anche tutti quei soggetti equiparati, ai fini fiscali, alle società di capitali.
L’Agenzia è intervenuta anche nel chiarire la definizione di “inadempimento” rilevante a fini dell’individuazione dei crediti la cui cessione contribuisce al plafond dei crediti utile ai fini della trasformazione delle DTA in crediti d’imposta prevista dall’articolo 44-bis.
In proposito, il comma 5 prevede che “si ha inadempimento quando il mancato pagamento si protrae per oltre novanta giorni dalla data in cui era dovuto”. Ciò comporta che l’inadempimento debba intendersi riferito al singolo credito e, dunque, alla posizione del debitore limitatamente ad un determinato singolo rapporto, così escludendo che un unico credito non adempiuto nei 90 giorni dalla sua scadenza renda tout court inadempiente il debitore in relazione alla generalità dei suoi rapporti, nei confronti sia di quel medesimo creditore sia degli altri creditori.
L’Agenzia delle entrate, dunque, evidenzia che detta definizione richiede l’esistenza, antecedentemente alla cessione, del fatto “storico” dell’omesso pagamento del credito (per almeno 90 giorni dalla scadenza), a prescindere dalle vicende successive (non estintive) che hanno interessato quel rapporto creditorio (come, ad esempio, la successiva modifica del termine di pagamento).
Nel documento di prassi in commento, inoltre, l’Agenzia fornisce alcuni chiarimenti in ordine alle modalità di determinazione della base di commisurazione del canone (eventualmente) dovuto per effetto dell’opzione e, in particolare, alla rilevanza delle imposte anticipate calcolate sulle svalutazioni dei crediti ex articolo 106, comma 1, del Tuir, riprese a tassazione.
In proposito, l’Agenzia sottolinea che, ai fini dell’articolo 44-bis, occorre considerare che: (i) la trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta è condizionata all’esercizio, da parte della società cedente, dell’opzione di cui all’articolo 11, comma 1, del Dl n. 59/2016, (ii) l’opzione, qualora non sia già stata esercitata, deve essere operata tramite la comunicazione di cui al punto 1 del provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 22 luglio 2016, entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti, e (iii) per l’applicazione del citato articolo 11 del Dl n. 59/2016, nell’ammontare delle attività per imposte anticipate sono comprese anche le attività per imposte anticipate trasformate in crediti d’imposta ai sensi del medesimo articolo 44-bis.
L’opzione comporta anche l’obbligo di pagamento di un canone annuo (qualora dovuto) per ciascun esercizio di applicazione, pari all’1,5% della differenza tra l’ammontare delle attività per imposte anticipate e le imposte versate, come risultante alla data di chiusura dell’esercizio precedente.
Con riferimento all’ammontare delle attività per imposte anticipate, quindi, il canone va determinato, ogni anno, sommando algebricamente:
a) la differenza, positiva o negativa, tra le “DTA qualificate” (cui si applicano i commi da 55 a 57 dell’articolo 2 del Dl n. 225/2010), iscritte in bilancio alla fine dell’esercizio per il quale si deve determinare il canone, e quelle iscritte alla fine dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2007;
b) l’importo delle DTA qualificate nel frattempo trasformate in crediti d’imposta.
Per quanto attiene alle modalità di determinazione del canone da versare, la risoluzione odierna conferma l’applicazione delle previsioni contenute nel citato provvedimento, attuativo delle disposizioni di cui all’articolo 11 del Dl n. 59/2016, e, di conseguenza, dei chiarimenti già forniti dall’Agenzia con la circolare n. 32/2016.
Ciò comporta che, per attività per imposte anticipate che rientrano nell’ambito di applicazione del citato articolo 11, definite “DTA qualificate”, si intendono le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio relative, cioè:
– alle svalutazioni e perdite su crediti non ancora dedotte dal reddito imponibile ai sensi del comma 3 dell’articolo 106 del Tuir
– alle rettifiche di valore nette per deterioramento dei crediti non ancora dedotte dalla base imponibile dell’imposta regionale sulle attività produttive, ai sensi degli articoli 6 e 7 del Dlgs n. 446/1997
– al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali, i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d’imposta ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive.
A ciò va aggiunto che, in base al comma 3 dell’articolo 44-bis, nell’ammontare delle attività per imposte anticipate vanno ricomprese anche le attività per imposte anticipate trasformate in crediti d’imposta ai sensi del medesimo articolo 44-bis, calcolate sulle perdite fiscali pregresse e sulle eccedenze Ace.
Pertanto, l’Agenzia delle entrate conclude che, ai fini della determinazione della base di commisurazione del canone, le imposte anticipate calcolate sulle svalutazioni effettuate ai sensi dell’articolo 106, comma 1, del Tuir, riprese a tassazione, non devono essere considerate ai fini del calcolo del canone dovuto, in quanto non rientranti tra quelle “qualificate” ai sensi dell’articolo 2, commi da 55 a 57, del Dl n. 225/2010, né ai sensi del medesimo articolo 44-bis.
Un ultimo aspetto oggetto di approfondimento della risoluzione in commento, riguarda le conseguenze derivanti dalla mancata tempestiva trasmissione (vale a dire entro il 31 dicembre 2020, per le cessioni di crediti avvenute nel 2020) della comunicazione finalizzata all’esercizio dell’opzione, con le modalità disciplinate dall’articolo 11 del Dl n. 59/2016, pur in assenza di obbligo di versamento del canone.
Al riguardo, l’Agenzia delle entrate fa presente come la disciplina agevolativa in commento rientri nell’ambito applicativo dell’istituto della “remissio in bonis”, di cui all’articolo 2 del Dl n. 16/2012. Pertanto, in caso di mancato invio nei termini della predetta comunicazione, il contribuente può esercitare l’opzione prevista anche in un momento successivo – purché entro il termine di presentazione della prima dichiarazione dei redditi utile – mediante l’inoltro della comunicazione, tramite Pec, alla Direzione regionale dell’Agenzia delle entrate territorialmente competente, provvedendo altresì al versamento della sanzione in misura fissa pari a 250 euro (cfr. articolo 11, comma 1, del Dlgs n. 471/1997).
Ciò, naturalmente, a condizione che il contribuente risulti in possesso dei “requisiti sostanziali” richiesti dalle disposizioni di riferimento, già alla data originaria di scadenza del termine previsto per il perfezionamento dell’opzione, ed abbia tenuto, successivamente alla cessione dei crediti, un comportamento coerente con la disciplina agevolativa.
Al riguardo, l’Agenzia precisa come, in base al tenore letterale della norma, il diritto a fruire del credito d’imposta maturi già a decorrere dalla data di efficacia giuridica della cessione dei crediti deteriorati, indipendentemente dalla data di esercizio dell’opzione stessa, o dall’eventuale versamento dovuto del relativo canone. Tuttavia, per effetto di quanto previsto dal comma 3 dell’articolo 44-bis, il diritto alla fruizione del credito d’imposta nasce, in ogni caso, “condizionato” all’esercizio della predetta opzione, che va effettuata, come sopra precisato, “entro la chiusura dell’esercizio in corso alla data in cui ha effetto la cessione dei crediti”. Ne deriva che, in assenza dell’esercizio dell’opzione – sia in presenza dell’obbligo di versamento del canone, che in assenza di tale obbligo – la società decade dal diritto a fruire dell’agevolazione.
Per tale motivo, la trasmissione della Pec, entro il termine previsto, rientrerebbe tra quegli adempimenti che, sebbene abbiano “natura formale”, sono comunque necessari al fine di “perfezionare” l’avvenuta trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta richiesti.
L’ambito di applicazione dell’istituto della remissione in bonis, come ricordato nella risoluzione, è circoscritto alla fruizione di benefici di natura fiscale subordinati all’obbligo di preventiva comunicazione o di altro adempimento di carattere formale, purché tali adempimenti formali siano previsti a pena di decadenza dal beneficio o dal regime opzionale.
La disciplina della remissione in bonis è, infatti, volta ad evitare che mere dimenticanze relative ad adempimenti formali non eseguiti tempestivamente dal contribuente “in buona fede”, possano precludergli la possibilità di fruire di benefici fiscali, qualora sia in possesso dei requisiti sostanziali richiesti dalla norma.
Come precisato, infatti, la norma è finalizzata a sanare quei soli comportamenti che non abbiano prodotto danni per l’erario, nemmeno in termini di pregiudizio all’attività di accertamento. Inoltre, presuppone che il contribuente abbia tenuto un comportamento coerente con il regime opzionale prescelto ovvero con il beneficio fiscale di cui intende fruire (cosiddetto comportamento concludente) e abbia soltanto omesso l’adempimento formale normativamente richiesto, che viene posto in essere successivamente.