11 Lug SACE, il Wine-spirit italiano sfida i mercati internazionali con successo
Dopo la frenata del 2020, nel biennio 2021-2022 le esportazioni di vini italiani dovrebbero ricominciare a correre. A dirlo uno studio SACE-Mediobanca-Ipsos che fa il punto sulle dinamiche di consumo e sui mercati più promettenti, tra storci acquirenti e new entry.
Nuovo, interessante strumento di lavoro per il settore del vino e degli spirits che rappresenta il 30% dell’export di vendite di alimenti e bevande. Il report “Wine & Spirits italiano sfida con ottimismo i mercati internazionali e i nuovi stili di consumo post pandemia” realizzato congiuntamente dagli uffici studi di Mediobanca, SACE e Ipsos rappresenta infatti un’analisi a tutto tondo di un comparto che nel 2020, nonostante il Covid, ha portato a casa 7,8 miliardi di euro di esportazioni.
Export vino italiano 2021
Nel biennio 21-22 si attende un aumento dei consumi di vino del 3,8% l’anno per molti tra i principali mercati. Per i due grandi importatori di vino italiano la crescita media annua attesa è del 2% per gli USA e del 3,1% per la Germania. Bene anche la Svizzera dove i consumi di vino sono attesi stabili.
Discorso a parte per il Regno Unito dove è prevista una crescita del 2,4% l’anno, ma che sconta prospettive complicate legate agli sviluppi post Brexit.
Altre opportunità possono arrivare sicuramente da mercati già noti al vino italiano come il Canada e il Giappone, che segnano un consumo atteso in forte crescita (+5,9% annuo per entrambi).
Ma, come in altri settori, è la Cina a mostrare uno dei maggiori potenziali con un +6,3% annuo nel biennio 2021-22. Infine tra gli altri paesi emergenti, spunta il Vietnam, mercato ancora molto piccolo, ma che annovera una rilevante crescita dei consumi (+9,6%), anche grazie agli accordi commerciali con l’UE che proteggono le indicazioni geografiche e riducono le tariffe e i dazi.
Certo le stime ottimiste per i prossimi anni poggiano su solide gambe. Il comparto proviene infatti da una crescita pluriennale – caratterizzata da un +6,3% medio annuo per i vini nel periodo 2010-19, che sale addirittura al +9,7% per gli spirits – su cui comunque ha pesato la pandemia.
L’export di vino italiano nel 2020
Nel 2020 infatti l’export di vino italiano ha segnato una frenata, contraendosi del 2,3% (mentre per gli spirits la contrazione ha raggiunto quota 6,8%).
L’anno della pandemia ha però conseguito variazioni differenziate: le nostre vendite infatti sono andate in flessione negli Stati Uniti (-5,6%) e nel Regno Unito (-6,4%), mentre si è mossa in controtendenza la Germania (+3,9%). In termini di prodotto, invece, il Covid ha colpito pesantemente gli spumanti (-6,9%).
Più modesto l’export italiano generato dal comparto degli spirits, che vale 1,5 miliardi di euro e ha nell’Europa la destinazione privilegiata (60,4% del totale) e due mercati di sbocco preferenziali, Stati Uniti e Germania, che fanno il 40% del totale. Nel 2020 lo sviluppo del mercato statunitense (+21,5%) ne ha fatto il primo approdo per le vendite oltreconfine di spirits italiane, scalzando dal primo gradino del podio la Germania (+3,5%).
L’impatto del Covid sul settore vino e spirits
In termini complessivi, il 2020 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso con un calo di fatturato del 4,1% (-6,3% per il mercato interno e -1,9% per l’estero).
Anche in questo caso però la pandemia ha colpito in modo diverso le aziende a seconda del prodotto e del canale di vendita. I vini frizzanti, ad esempio, hanno perso più terreno (-6,7%) dei vini fermi (-3,5%). E il canale GDO ha visto la propria incidenza salire al 38% rispetto al 35,3% del 2019 (a valore è cresciuto del +2,3%), mentre quello Ho.Re.Ca. si è contratto dal 17,9% al 13,4% (-32,7%) e quello wine bar ed enoteche è passato dal 7% al 6,7% (-21,5%).
Ad essere letteralmente esploso durante la pandemia è stato invece l’online che ha generato:
- +74,9% le vendite sui portali web di proprietà,
- +435% per le piattaforme online specializzate,
- +747% i marketplace generalisti.
Non a caso, quindi, lo scorso anno gli investimenti nel digital dei maggiori produttori di vino sono aumentati del 55,8%, a fronte di un calo del 14,3% degli investimenti complessivi e del 13,4% della spesa pubblicitaria.
Ma cosa è stato più venduto? Ebbene le imprese con fatturato 2020 in aumento hanno venduto soprattutto vino base (meno di 5 euro) per il 70,8% del loro fatturato; quota che scende al 52,6% all’interno del gruppo di imprese con vendite in calo. Ma lo spostamento verso segmenti più alti – affermano SACE e company – appare solo rinviato a quando si assesteranno gli stili di consumo post pandemici.
Evoluzione dei consumi di vino e spirits post-pandemia
La pandemia, sottolineano infatti i ricettari, ha inciso su alcune abitudini di consumo, anche in maniera sorprendente. Ad esempio la propensione dei consumatori ad acquistare bottiglie di vino nei supermercati è calata di 6 punti: il 58% degli italiani che in epoca pre-Covid si approvvigionava nella GDO si è ridotto al 52%. Certo la GDO rimane il canale preferito per l’acquisto di vino, ma mostra dinamiche in evoluzione, con una sempre maggiore ricerca di qualità, specificità e unicità.
Un trend confermato dalla percentuale di persone che ha iniziato a frequentare enoteche, cantine e negozi specializzati. Gli italiani che non si sono mai rivolti a un’enoteca per comprare una bottiglia di vino è in calo dal 48% prepandemico, al 42% attuale. L’aumento degli acquisti in enoteca ha coinvolto, in primis, l’universo femminile (con un decremento dei non frequentatori dell’8% (dal 52% ante Covid al 44% del 2021), ma ha toccato tutti i segmenti della società, con riduzioni del 5% tra i Millennials, del 6% nella Generazione X e tra i Baby Boomers.
Sono in aumento anche gli acquirenti di vino nelle cantine dei produttori: nel periodo pre-Covid gli italiani che non si erano mai recati in una cantina di un produttore erano il 46%, oggi scesi al 39%.
Infine vi è l’acquisto online che, come già detto, è la vera stella dell’ultimo anno. L’e-commerce di proprietà consente alle persone di accedere direttamente al viticoltore: prima del lockdown il 71% degli italiani non aveva mai fatto un acquisto online dai siti di una cantina, oggi la quota è scesa di sette punti (64%). Inoltre, la percentuale di persone che prima del Covid non aveva mai fatto ricorso al sito e-commerce o all’offerta online di una enoteca era del 74%, oggi la percentuale è scesa al 69%.
In questo quadro magmatico delle abitudini di consumo, SACE ha però individuato alcuni tratti in comune nei nuovi comportamenti di acquisto dei consumatori:
- La ricerca di qualità;
- Il valore del locale, dei suoi prodotti e delle imprese;
- Il ricorso al delivery food.
Se si osserva poi la propensione alla spesa in termini di costo della bottiglia, la tendenza, anche se con scostamenti minimi, sembra essere orientata verso due fenomeni:
- Una crescente polarizzazione della fascia di prezzo, con l’accentuarsi della forbice tra bottiglie di livello basso e alto;
- Un conseguente indebolimento della fascia di prezzo intermedia, con uno scivolamento verso quella inferiore.
Infine, il tema bio fa registrare tre distinti livelli di interesse: i bio-attratti, altamente interessati ai vini biologici e che rappresentano il 36% dei bevitori, i bio-light, caratterizzati da un approccio non convinto e un po’ modaiolo ai prodotti biologici che arrivano al 33%, e infine i bio-refrattari che formano il residuo 31%. Tra i bio-attratti si possono trovare dei veri e propri bio-fan, che sono in parte anche high-spender, e valgono il 24% dei consumatori di vino.
fonte: fasi.biz