26 Mag Sostegni bis: divieto di licenziamento prorogato al 31 dicembre, la casistica
Una ulteriore “revisione” del divieto di licenziamento, imposto già dal precedente governo Conte con il decreto Cura Italia per il contenimento dell’occupazione nella attuale situazione emergenziale, arriva con l’emanazione del “Sostegni bis”.
Il testo entrato in vigore (art. 40 del D.L. n. 73/2021), non prevede la proroga selettiva del decreto di licenziamento fino al 28 agosto, ma conferma il blocco per le aziende che decidono di usare la Cassa integrazione dal prossimo 1° luglio. In questo caso non sarà possibile licenziare fino al 31 dicembre 2021.
Il divieto è dunque stato prorogato di pari passo con gli ammortizzatori sociali Covid (CIGO, CIGD, FIS e CISOA) che sono stati istituiti dal 23 febbraio 2020 e via via prorogati dalla normativa emergenziale.
Il divieto di licenziamento proibisce di:
– avviare procedure di licenziamento collettivo;
– recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo “ai sensi dell’art. 3 L. 604/1966”.
Il Decreto Sostegni-bis prevede in buona sostanza che, a partire dal 1° luglio 2021, le aziende che non avranno più necessità di ricorrere alla CIG Covid-19 non saranno più soggette al divieto di licenziamento.
Resta, invece, la possibilità per le imprese di utilizzare la Cassa integrazione ordinaria, anche dal primo di luglio, senza dover pagare le addizionali fino al 31 dicembre 2021, impegnandosi a non licenziare.
deroga 1
Il divieto non si applica al ricorrere di una delle seguenti fattispecie:
– cessazione definitiva dell’attività dell’impresa
– cessazione conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa.
– stipula di un accordo collettivo aziendale, con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che prevede l’incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro.
– fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione.
Deroga 2, appalti
Per espressa previsione legislativa, costituisce eccezione l’ipotesi dei lavoratori già impiegati nell’appalto, che siano riassunti a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto. Resta dunque legittima l’ipotesi per cui il personale interessato dal recesso, già impiegato in un appalto, venga riassunto a seguito del subentro di un nuovo appaltatore in forza di disposizioni di legge, contratto collettivo nazionale di lavoro o clausole del contratto di appalto. La ratio della norma è dunque sempre quella di preservare il posto di lavoro.
Tipologie di licenziamento sempre consentite
Dalle norme emergenziali che si sono susseguite negli ultimi 15 mesi, restano comunque escluse le seguenti fattispecie di recesso unilaterale dal rapporto di lavoro che sono in qualunque momento consentite al datore di lavoro:
– licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo;
– licenziamenti per superamento del periodo di comporto;
– licenziamento entro il termine del periodo di prova;
– licenziamento per raggiunti limiti di età ai fini della fruizione della pensione di vecchiaia;
– licenziamento ad nutum del dirigente;
– licenziamento dei lavoratori domestici;
– interruzione dell’apprendistato al termine del periodo formativo;
– interruzione del rapporto con l’ex socio di una cooperativa di produzione e lavoro, in caso di precedente risoluzione del rapporto associativo (in base alle disposizioni statutarie o regolamentari in vigore).
Conseguenze in caso di licenziamento illegittimo
I licenziamenti intimati in violazione del divieto imposto dalla disciplina Covid-19 sono nulli e comportano la reintegra in azienda del lavoratore interessato e la condanna, per il datore di lavoro, al risarcimento del danno subito per il periodo successivo al licenziamento e fino alla reintegrazione e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per tutto il periodo intercorrente fra il licenziamento e la reintegrazione.
Il risarcimento del danno è rappresentato da un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento al giorno dell’effettiva reintegrazione, che in ogni caso non può essere inferiore alle cinque mensilità. Dall’importo deve essere dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative da parte del dipendente interessato.
Il lavoratore ha, comunque, la possibilità di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.